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Mi chiamo Martina. Sono oggettivamente piena di speranze. In cosa, non si sa. Poco in me stessa, molto nel futuro, troppo nel passato. Ho vissuto sei anni a Torino. Scuola Holden, poi giornalista per il quotidiano La Stampa. Attualmente sono tornata ad Arezzo, dopo sei mesi di densissima vita a Bologna. Ancora devo capire perché.

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  • Le foto su questo blog sono state recuperate da Pinterest e dal web. Nel caso conosceste i nomi dei fotografi, ditemelo. Sarà cosa gradita. Chiaramente i testi sono miei. Chi oserà rubarli / plagiarli / copiarli avrà l'immediata caduta delle dita delle mani, dei piedi, dei capelli e anche un po' di malocchio. Giusto per avvertire.

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giovedì 11 ottobre 2012




Distintamente l'ho sentito. Il campanello d'allarme, dico. Ma, come ogni cosa che può spaventare o buttare al tappeto, ho cognitivamente scelto di ignorarlo. È così che è iniziato tutto: la fine. La fine, era proprio il suo inizio.

Quando sei in giro per locali e, invece di "andiamo", ti pare che la bocca del tuo prode amante abbia detto "ti amo", ecco, sappi che quel momento sarà il punto di non ritorno. Da lì inizieranno i guai, le sfighe, i drammi, il rapido e impietoso declino relazionale.
Non c’è scampo, davvero: c’è da mettere in conto che, quando la propria mente vuole sentire parole totalmente diverse da quelle pronunciate, c’è qualcosa da mettere a posto. Se stessi, in linea di principio.

I problemi di comunicazione non sono mai da sottovalutare. No, non sto parlando di lunghe e sterili disquisizioni su quanto sia arduo imparare il bon ton a tavola o di quando due persone non sanno dare lo scettro di peggior cantante italiano della storia a Vasco Rossi o a Gigi d’Alessio (voto sempre e comunque Vasco Rossi, scusatemi, proprio non ce la faccio), ma proprio di quando ognuno ha preso la propria tangente. Di quando, all’interno della coppia (ok, si, certo, è sempre di coppie e relazioni e sentimenti che sto parlando, d’altronde ho 27 anni e sono vittima di bombardamenti amorosi e ormonali, non ci posso far niente), ognuno crede d’esser chiaro con l’altra metà (della coppia, non della mela o baggianate simili. oddio, devo smetterla di usare le parentesi, è un declino anche questo, anche se questa forma paratattica rappresenta appieno la mia vita, ovvero cose accumulate alla cazzo), quando in realtà figuriamoci se c’è chiarezza o comunicazione. 
È come se ognuno dei due parlasse a se stesso. Non c’è ascolto, o almeno non quello vero. Ogni frase, ogni gesto, ogni forma espressiva viene interpretata secondo la propria ottica: se una persona vuole sentirsi amata, ecco, anche - e soprattutto - le parole non dette saranno ottima legna da ardere.
Ho detto “legna da ardere”? Fate finta di niente. 

I dolorini al cuore e alla testa iniziano quando, a furia di negare la realtà, a furia di mostrarsi per quello che non si è nella speranza inutile di piacere di più all’altro, succede lo sfacelo. È un po’ come aprire il vaso di Pandora: significa rendersi conto che ognuno è come se fosse uscito con se stesso, trombando se stesso, parlando con se stesso, allisciandosi da solo. Una masturbazione affettuosa. Che finisce con lo sporcare tutto. 

Quindi ecco, se non capite cosa dice la personcina che vi fa battere il cuore, annuite sorridendo.
O, nel caso abbiate sufficiente fiducia in voi stessi e coraggio, chiedete “che hai detto, scusa?”





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