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La mia foto
Mi chiamo Martina. Sono oggettivamente piena di speranze. In cosa, non si sa. Poco in me stessa, molto nel futuro, troppo nel passato. Ho vissuto sei anni a Torino. Scuola Holden, poi giornalista per il quotidiano La Stampa. Attualmente sono tornata ad Arezzo, dopo sei mesi di densissima vita a Bologna. Ancora devo capire perché.

Disclaimer

  • Le foto su questo blog sono state recuperate da Pinterest e dal web. Nel caso conosceste i nomi dei fotografi, ditemelo. Sarà cosa gradita. Chiaramente i testi sono miei. Chi oserà rubarli / plagiarli / copiarli avrà l'immediata caduta delle dita delle mani, dei piedi, dei capelli e anche un po' di malocchio. Giusto per avvertire.

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mercoledì 16 ottobre 2013





Una cosa che mai riuscirò a comprendere è perché la natura abbia creato degli animali in grado di strisciare, nascondersi negli angoli e fare CROC quando li schiacci. 
Voglio dire. Tutti amano i gattini, tutti si struggono vedendo un cucciolo di panda o una giraffa nell’atto di allungare il collo per mangiare le foglie. Allo stesso modo, ogni donna perde dieci anni di vita ogni volta che uno scarafaggio si sposta da sotto il frigorifero al battiscopa o una cavalletta marroncina atterra con nonchalance vicino al piatto in cui la gentil fanciulla mangia, d’estate.
Non so cosa scatti, quale atavica paura prenda il sopravvento, in quale mostro alieno ci siamo convinte che possa trasformarsi ogni insetto se entro cinque secondi non viene ucciso. Fatto sta che questa è una piaga sociale con dei risvolti invalidanti.

Io, per dire, amo la campagna.
La possibilità di svegliarmi in un luogo da cui non si sente il traffico delle strade, dove la sera d’estate c’è il rumore dei grilli e, nei pomeriggi domenicali, vecchi alberi sotto cui sdraiarsi a leggere. Un sogno è riuscire ad avere un vecchio casolare da rimettere a posto, un giardino enorme con fiori, gazebo, ulivi e un ruscello (non rompete le balle, almeno nei sogni non voglio risparmiarmi nulla).

Però. Però c’è un problema. Il fatto che quel casolare non sarà mai di mia proprietà, ma sarò sempre inquilina dei veri padroni: i ragni. 

Per capire che effetto mi fanno, vi illustro una scena capitata non troppi giorni fa. Non farò nomi, la privacy delle persone coinvolte è importante. Sono pur sempre donne con una certa reputazione da difendere. Sempre che non vi siano insettacci nei paraggi.

Lunedì di fine estate. Tempo che volge al brutto, nuvole scure, umore pessimo. Per non rischiare di buttarmi sotto all’espresso delle 4 (cit.), con M.G.G. vado a casa di F.C. per vedere un film, fumare quarantasette sigarette, staccare il cervello e non sentirmi più sola nel mio mare di disagio.
Serata tranquilla, tutto nella norma. Fino al momento del congedo.
Prendo il paltò, lo indosso, mi accingo alla macchina insieme a M.G.G. e chiudo la portiera. Sento qualcosa in mano, mi convinco che sia un filo tirato del cappotto, apro il palmo e lo vedo. 
È lì, mi osserva, con tutti quegli occhi, con tutti quei peli bianchi. Un attimo durato cent’anni, i minuti successivi dentro una bolla d’autismo.

Urlo. In tre secondi netti riesco a: 
  • aprire la portiera e scapicollarmi fuori
  • togliermi il cappotto, sempre continuando a urlare
  • addossarmi meglio di un geco alla porta d’ingresso di F.C., battendo disperata il pugno implorandola di farmi entrare.

Lei s’affaccia, occhio del terrore, e dal fondo delle scale osserva la seguente scena.
M.G.G., presa dal panico nel vedere me uscire di senno, mi fa da controcanto nella sequela di schiamazzi e, non paga, si sente camminare il ragno addosso. Così, saltellando per entrare in casa, si denuda del sotto della tuta, rimanendo in maglietta, mutande e Superga. rigorosamente bianche.
Io, ormai con il cervello abbuiato, finisco di spogliarmi e, dopo essermi nascosta dietro la poltrona, capisco in un guizzo di lucidità che non è luogo sicuro e decido d’arrampicarmi sopra il piano della cucina. Su cui sto appollaiata per dieci minuti buoni. Fino al momento in cui F.C., avendo vissuto la scena in maniera indiretta, comprende la gravità dell’evento e si arma di una bottiglia d’acqua, un rotolo di carta igienica e il catalogo di Mondo Convenienza. Quello con la costola dura, potente e pesante come un mattone. Tutto molto inutile, o quasi.
Ci consiglia di rivestirci: il nemico potrebbe ancora essere nell’abitacolo dell’auto.
Dall’alto della nostra esperienza io e M.G.G. annuiamo, recuperiamo gli abiti e, trasformando i telefoni in torce, controlliamo la macchina. Il tutto urlando in silenzio: il panico non se ne va da un istante all’altro, e che cazzo. Ma i vicini dormono, quindi c’è da chetarsi.
Lo vedo di nuovo. Lui torna a guardarmi con quegli occhi impertinenti, fa un cenno di sfida e si nasconde tra il sedile e la cintura di sicurezza. 
Nessuna delle tre sa come procedere. Ho di nuovo un attimo di autismo in cui mi accascio al suolo ondeggiando per pochi secondi, che serve però per farmi trovare il coraggio necessario a farlo. 
A fargli fare CRAC. Col catalogo piantato di traverso.

Immagino che i resti di quel mostruoso essere siano ancora nella macchina. 
Ma, almeno, ce n’è uno in meno.







4 commenti:

  1. Eccezionale!
    L'unico momento di smarrimento è stato nel leggere la parola "paltò" che ho dovuto cercare sul Google.
    E comunque: continua così che mi ha fatto sfiancare dal ridere! Brava!! Mi piace!

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    1. uahhaha Ghigno! ho dovuto inserire una parola vintage perché ci sta sempre bene, dà quel non so che di raffinato...
      grazieee :*

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  2. ... oltremodo interessante la capacità, col semplice apparire, che tiene n'aracnide a far denudare fanciulle. Decisamente interessante ... :))

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