Total Pageviews

Powered by Blogger.

About Me

La mia foto
Mi chiamo Martina. Sono oggettivamente piena di speranze. In cosa, non si sa. Poco in me stessa, molto nel futuro, troppo nel passato. Ho vissuto sei anni a Torino. Scuola Holden, poi giornalista per il quotidiano La Stampa. Attualmente sono tornata ad Arezzo, dopo sei mesi di densissima vita a Bologna. Ancora devo capire perché.

Disclaimer

  • Le foto su questo blog sono state recuperate da Pinterest e dal web. Nel caso conosceste i nomi dei fotografi, ditemelo. Sarà cosa gradita. Chiaramente i testi sono miei. Chi oserà rubarli / plagiarli / copiarli avrà l'immediata caduta delle dita delle mani, dei piedi, dei capelli e anche un po' di malocchio. Giusto per avvertire.

Contact

Nome

Email *

Messaggio *

giovedì 24 ottobre 2013





Ci sono alcuni aspetti, nell’universo finito dei ricordi, che la maggior parte delle persone preferisce lasciare intonsi piuttosto che rischiare di ricondurli al presente.
Tanti non amano tornare nei luoghi dell’infanzia, sarebbe altresì mortificante scoprire quanto piccolo fosse il parco giochi e del tutto privo di fascino l’albero su cui ci si arrampicava alteri.
Altri optano per l’evitare i ristoranti, gli alberghi e le mete turistiche già vissuti con altre persone: la malinconia d’un passato penoso è difficile da arginare. 
Per non parlare delle persone in carne e ossa: certi, avvistando da lontano un vecchio compagno delle elementari, magari appesantito dal tempo e dalla figlia appesa al braccio come arto fantasma, fanno finta di immergere il viso dentro la borsa o cambiano repentini viuzza, sperando di farla franca.

Io non sono così.
Non in tutto, almeno.
Ieri, per dire, ero a casa. Il giorno prima avevo espresso il fanciullesco desiderio di poter rileggere Topolino. E ieri, tac, una persona insostituibile me l’ha portato.

Eh sì, Topolino. 
Io ero una di quelle bambine che ha avuto l’abbonamento per almeno 4/5 anni di fila. Che non vedeva l’ora che arrivasse l’estate per montare le sorprese allegate al giornalino, che trascorreva ore all’emporio vicino casa per decidere se prendere Minni (quello con i bordi delle pagine ogni volta colorati in modo diverso, e con dentro le notizie e i consigli e le confidenze per una bimba così bimba da far finta di non voler crescere mai), Paperinik o i Grandi Classici in attesa del mercoledì successivo.

E dal momento in cui decisi che basta, era giunto il tempo di avere letture più da grandi (Cioè, non dimentichiamocelo, era roba filoporno per l’epoca), non ho più osato rileggerlo.
Ieri la sorpresa. Il timore anche, la paura, l’orrore.
La vergogna col cazzo.

L’ho sfogliato, l’ho annusato, l’ho letto tutto in poco più di un’ora. Non tralasciando nemmeno i nomi dei redattori e della segreteria organizzativa (è sempre bene tenersi informati, si sa mai che possa lavorare per la Panini prima o poi).

E l’ho amato come quando avevo otto anni.
I tre nipotini insopportabili come sempre, Giuditta la più dolce e sfortunata di tutte, nonna Papera una sclerotica rompicoglioni, Topolino e Minni la coppia più fastidiosa della storia, Paperina una sbarba egocentrica, zio Paperone da stendere col gas e rubargli l'oro, la sfiga di Paperino rincuorante nel pensare alla propria.

Non ce n’è: potete citarmi Proust e Calvino, Pavese e la Dickinson. Pure la stessa Plath, mia amata musa.
Ma questo giornaletto resta inarrivabile. 


E chiamatelo poco!




0 commenti:

Posta un commento