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Mi chiamo Martina. Sono oggettivamente piena di speranze. In cosa, non si sa. Poco in me stessa, molto nel futuro, troppo nel passato. Ho vissuto sei anni a Torino. Scuola Holden, poi giornalista per il quotidiano La Stampa. Attualmente sono tornata ad Arezzo, dopo sei mesi di densissima vita a Bologna. Ancora devo capire perché.

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  • Le foto su questo blog sono state recuperate da Pinterest e dal web. Nel caso conosceste i nomi dei fotografi, ditemelo. Sarà cosa gradita. Chiaramente i testi sono miei. Chi oserà rubarli / plagiarli / copiarli avrà l'immediata caduta delle dita delle mani, dei piedi, dei capelli e anche un po' di malocchio. Giusto per avvertire.

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venerdì 18 ottobre 2013





Io, non so voi, ogni volta che guardo una commedia sul grande schermo inizio senza pietà a fare il bilancio della mia vita.
Voglio dire, tralasciando le meraviglie anni 50 di Wilder o le brillanti uscite di testa di Allen dei primi tempi, ogni altra commediucola americana degli ultimi vent’anni ti pone davanti a un’unica, amarissima verità: sei ormai più vecchia dei protagonisti, hai ampiamente superato l'età dei personaggi cui succede di tutto. E, osservando la tua vita, comprendi come ancora tu sia agli albori della realizzazione, ai suoi esordi, probabilmente fuori tempo massimo per sperare di poter brillare. Come a dire "tesoro, o fai tutto entro i trenta, oppure avrai una vita del cazzo".

In media, nelle commedie cinematografiche *realistiche* una persona a ventotto anni è nel bel mezzo di una sfavillante carriera, quella che si è sempre desiderato. O, se non lo è, tutto il resto della sua vita è pronto a indirizzarla nella giusta direzione. È di bell’aspetto, vive da sola, probabilmente in un attico arredato dai migliori designer del mondo, o in alternativa ha una famiglia incredibile e un compagno con soldi a palate. La sua pelle è liscia e luminosa, i capelli sempre in ordine, le bollette e l’affitto mai un problema. Il suo armadio è stracolmo di vestiti di cui il più economico costerà almeno 1000 euro, e per stare in casa non indossa certo la tuta di acetato delle medie (cit.), ma un morbido maxicardigan di cachemire.
Non deve mai fare benzina, non trova mai traffico, non ha bisogno di guardare la strada ma può serenamente intrattenersi in chiacchiere e balletti con gli altri passeggeri dell’auto. 
Il periodo scolastico e universitario l’ha trascorso in uno schiocco di dita, senza problemi o bisogno di studiare, ma in compenso è stata la protagonista indiscussa di svariate feste e flirt con fighi colossali che tu, persona comune, non troverai nemmeno alla settimana della moda di Milano.
Ha dei genitori simpatici e caratteristici, forse un po’ invadenti a volte, ma sempre divertentissimi e a cui poter perdonare tutto.
Per non parlare dei vicini di casa: le volte che non si dimostrano anime gemelle, sono almeno almeno i migliori amici di una vita.

Poi, poi penso alla mia, di vita *realistica*. Di anni ne ho sì ventotto, ma di carriera conosco solo quella ippica. 
Non vivo certo da sola, ma in compagnia dei genitori per il motivo di cui sopra. I miei sono care persone, s'intende, ma da qui a essere delle macchiette ce ne corre. I miei capelli sono per la metà del tempo annodati e crespi come dei rasta, il vestito più costoso che ho l’avrò pagato 69 euro in occasione di un matrimonio - con tanto di conseguenti bestemmie.
La macchina è sempre in riserva, i balletti li faccio per evitare bici e pedoni suicidi, ancora l’università è lì che mi guarda in cagnesco per averla abbandonata, e certo i fighi non si interessavano me. 
E i vicini di casa? Da una parte ho la gattara che parla da sola e ti tira i gatti in faccia se la guardi male. Dall’altra un padre cinquantenne che mi spia dalla finestra mentre mi cambio.


#maiunagioia





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